Videosorveglianza Selvaggia? L'AI ci guarda, ma chi la controlla?
Immaginate di fare shopping, convinti che le telecamere del negozio siano lì solo per prevenire i furti. Poi scoprite che, in realtà, vi stanno osservando anche quando siete fuori dall'esercizio commerciale, magari mentre passeggiate sul marciapiede, e che le vostre immagini finiscono chissà dove.
Immaginate di fare shopping, convinti che le telecamere del negozio siano lì solo per prevenire i furti. Poi scoprite che, in realtà, vi stanno osservando anche quando siete fuori dall'esercizio commerciale, magari mentre passeggiate sul marciapiede, e che le vostre immagini finiscono chissà dove. Non è fantascienza, ma una realtà che il Garante per la protezione dei dati personali ha evidenziato con forza, richiamando l'attenzione di Confcommercio su un problema annoso: la 'videosorveglianza selvaggia' nei negozi.
Il Garante ha inviato una lettera a Confcommercio dopo aver ricevuto segnalazioni da organi di polizia e specialisti. Il succo? Molti esercizi commerciali installano sistemi di videosorveglianza che vanno ben oltre le loro legittime esigenze di sicurezza. Le telecamere spesso inquadrano spazi pubblici, proprietà vicine e persino persone che non hanno nulla a che fare con l'attività commerciale. Non solo, le immagini vengono conservate per periodi superiori a quelli consentiti dalla legge e, in alcuni casi, sono addirittura associate a registrazioni audio, usate talvolta per monitorare i lavoratori senza i necessari accordi sindacali o autorizzazioni. È un quadro che solleva serie preoccupazioni sui nostri diritti fondamentali.
Quando la sicurezza diventa sorveglianza arbitraria
Il punto cruciale è la funzione che il dato, ovvero la vostra immagine, assume. Da strumento per tutelare il patrimonio del commerciante, si trasforma in un veicolo di potere. Ogni sistema di sorveglianza, come sottolineato da Francesca Niola su Agenda Digitale AI, crea una sorta di 'sovranità percettiva'. Il negoziante acquisisce la possibilità di osservare continuamente, valutare in silenzio e conservare le immagini. La vostra identità, catturata da questi dispositivi, inizia una vita parallela negli archivi di chi vi riprende, elaborata secondo logiche che non vi riguardano.
Questo scenario mette in crisi i principi del diritto costituzionale. L'articolo 97 della Costituzione italiana, che regola l'esercizio delle funzioni pubbliche, richiede che ogni potere che incide sulla sfera giuridica altrui sia esercitato con forma, controllo e responsabilità. La funzione pubblica, espressione dell'interesse generale, necessita di apparati stabili, regole trasparenti e vincoli conoscitivi accessibili. Ma la videosorveglianza privata, operando al di fuori di ogni investitura pubblica e senza coordinamento con le autorità, crea una frizione lampante con questo principio. L'imprenditore si arroga un potere invasivo senza assumerne i doveri: osserva, conserva, cataloga, interpreta, senza alcun obbligo di giustificazione pubblica.
Sicurezza o controllo indiscriminato?
La confusione tra funzione e strumento è evidente. Una telecamera è uno strumento tecnologico, ma possederla non conferisce al commerciante la funzione sociale di proteggere la collettività. È come la differenza tra un cittadino che possiede un'arma e un poliziotto che la porta per servizio: lo stesso oggetto ha significati radicalmente diversi a seconda del ruolo di chi lo usa. Quando un commerciante giustifica l'installazione di telecamere con motivi di sicurezza, compie un salto logico. Non gli spetta, moralmente o socialmente, il diritto di controllare e valutare il comportamento delle persone che entrano o transitano nel suo spazio. Egli decide chi osservare, come interpretare i comportamenti, quali criteri usare per valutare le persone, e come conservare e usare le informazioni raccolte. Tutto questo avviene senza un mandato sociale o legale esplicito. È come se il proprietario di un negozio si autoproclamasse un agente di sicurezza pubblica, ma senza la formazione, i controlli e le procedure standardizzate che regolano l'operato delle forze dell'ordine. La sua unica legittimazione deriva dalla proprietà dello spazio fisico, ma questo diritto viene arbitrariamente esteso al controllo delle persone.
Il confine labile del consenso implicito
Un altro aspetto spinoso è il cosiddetto 'consenso implicito' del cliente. La giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che questo consenso, basato sulla natura contrattuale del rapporto tra cliente e commerciante, legittima forme di controllo utili a tutelare il patrimonio aziendale. Tuttavia, questo consenso ha un limite ben preciso: vale solo all'interno del perimetro fisico del negozio. Non appena la telecamera inquadra il suolo pubblico o proprietà altrui, l'attività di sorveglianza cambia natura: da legittima manifestazione dell'autonomia contrattuale diventa un'appropriazione indebita di prerogative pubbliche. Si viola il principio di inviolabilità della libertà personale e del domicilio.
La videosorveglianza commerciale, in questo senso, sta alterando la configurazione dello spazio pubblico in modi che sfuggono ai tradizionali controlli autoritativi. Mentre la sorveglianza pubblica è soggetta a responsabilità democratica e procedure di garanzia, quella commerciale opera secondo logiche di mercato, sottraendosi a tali vincoli. Questa differenza qualitativa produce effetti costituzionalmente rilevanti, agendo attraverso una silenziosa accumulazione di informazioni comportamentali. La sua invisibilità istituzionale le permette di riscrivere gli equilibri costituzionali senza attivare i meccanismi di tutela democratica. È tempo di riflettere seriamente su come l'intelligenza artificiale, sempre più integrata in questi sistemi, possa amplificare queste dinamiche, rendendo ancora più urgente una regolamentazione chiara e rigorosa.