La grande fame dell'AI: siamo già a corto di dati? L'intelligenza artificiale, la tecnologia che sta rimodellando il nostro mondo, potrebbe aver incontrato il suo primo, grande ostacolo. Non si tratta di un problema di algoritmi o di potenza di calcolo, ma di qualcosa di molto più fondamentale: il cibo. I dati di alta qualità necessari per nutrire e addestrare questi modelli stanno, a quanto pare, finendo. A lanciare l'allarme non è un commentatore qualunque, ma una voce autorevole dal cuore della finanza e della tecnologia. Neema Raphael, responsabile dell'ingegneria dei dati di Goldman Sachs, ha messo nero su bianco un timore che serpeggiava da tempo nel settore. Durante un intervento nel podcast "Exchanges" della banca, ha affermato che l'insieme dei dati "liberamente accessibili", come l'enorme quantità di testi e immagini presenti su internet, è stato ormai quasi completamente divorato. Questa non è una notizia da poco. Significa che la crescita esponenziale a cui abbiamo assistito, con modelli sempre più capaci e sorprendenti, potrebbe subire una brusca e inaspettata frenata. Se i dati sono il carburante, le nostre scorte pubbliche si stanno esaurendo. La nuova corsa all'oro: i dati proprietari Se una porta si chiude, però, spesso se ne apre un'altra. La fine dell'era dei dati "facili" non segna la fine dell'AI, ma piuttosto l'inizio di una nuova fase, più strategica e complessa. La nuova frontiera, secondo l'analisi di Raphael, non è più il vasto e caotico oceano del web, ma i preziosi e curati "laghi" di dati proprietari. Cosa significa? Pensate a un'azienda manifatturiera con decenni di registri sulla manutenzione dei macchinari. O a uno studio legale con un archivio sterminato di documenti e sentenze. Questi patrimoni informativi, finora chiusi nei forzieri digitali delle singole aziende, valgono letteralmente oro. Potrebbero essere la chiave per addestrare modelli AI ultra-specializzati, capaci di raggiungere livelli di precisione e conoscenza impensabili per i modelli generalisti. Questa transizione sposterà l'equilibrio del potere. Non basterà più avere la maggiore potenza di calcolo, ma diventerà cruciale possedere i dataset più unici e di alta qualità. Si preannuncia una vera e propria corsa all'oro digitale, dove le aziende con i dati migliori avranno un vantaggio competitivo enorme. La scorciatoia rischiosa: l'illusione dei dati sintetici Di fronte alla scarsità, c'è sempre la tentazione di una scorciatoia. Nel mondo dell'AI, questa scorciatoia ha un nome: dati sintetici. L'idea è semplice, quasi fantascientifica: usare un'intelligenza artificiale per creare testi, immagini e codice da dare in pasto a un'altra intelligenza artificiale. Un modo per creare dati dal nulla. Tuttavia, Raphael mette in guardia su questo approccio, definendolo "rischioso". Il pericolo è un fenomeno che alcuni ricercatori chiamano "collasso del modello". Immaginate di fare una fotocopia di una fotocopia, più e più volte. Ogni copia perde un po' di qualità, diventa più sbiadita e meno definita. Alla fine, l'immagine originale è irriconoscibile. Lo stesso può accadere all'AI. Nutrire i modelli continuamente con dati artificiali, generati da altri modelli, rischia di creare un'eco distorta della realtà. L'AI potrebbe iniziare a imparare dalle proprie imperfezioni e da quelle dei suoi simili, allontanandosi progressivamente dal mondo umano e producendo risultati sempre meno affidabili e più bizzarri. Un serpente digitale che si morde la coda. Qualità, non solo quantità: il futuro dell'addestramento Ci troviamo quindi a un bivio cruciale per il futuro dell'intelligenza artificiale. Da una parte c'è la via più difficile ma virtuosa: la ricerca, la cura e l'utilizzo di dati specifici, di alta qualità, spesso proprietari. Dall'altra, la tentazione di un'autarchia digitale, dove l'AI si nutre di se stessa con esiti imprevedibili. La rivelazione di Goldman Sachs ci costringe a riconsiderare le basi dello sviluppo tecnologico. La prossima grande innovazione nell'AI potrebbe non derivare da un algoritmo più intelligente, ma da un approccio più saggio ai dati. Il futuro non dipenderà più solo da *quanti* dati riusciremo a raccogliere, ma soprattutto da *quali* dati sceglieremo di usare. È la fine dell'abbuffata digitale e l'inizio di una nuova era, basata sulla qualità e non più solo sulla quantità.