Intelligenza Artificiale: un'etichetta potente, ma fuorviante Parliamo di Intelligenza Artificiale ogni giorno. È sui giornali, nei nostri smartphone, nelle promesse di un futuro iper-tecnologico. Ma dietro questa etichetta così suggestiva, cosa si nasconde davvero? Spesso le attribuiamo capacità quasi umane, cognitive, persino emotive. La realtà, però, è molto più pragmatica e matematica di quanto si pensi. I sistemi di AI che oggi dominano la scena si basano su reti neurali artificiali. Sono strumenti potentissimi, capaci di risultati strabilianti, ma il paragone con il cervello umano, che pure li ha ispirati, rischia di essere un'enorme semplificazione. Come spiega un'approfondita analisi di Cybersecurity360 AI, pensare che una rete neurale "riproduca" il cervello è tecnicamente sbagliato e potenzialmente pericoloso. Il cervello biologico contro il modello matematico Il nostro cervello è un organo di una complessità sbalorditiva. Parliamo di circa 86 miliardi di neuroni che comunicano tramite segnali non solo elettrici, ma anche chimici, modulati da ormoni, esperienze e dal contesto emotivo in cui ci troviamo. È un sistema plastico, che si ristruttura dinamicamente. Un ricordo, un'emozione, persino la stanchezza possono alterare i nostri processi mentali. Una rete neurale artificiale, al contrario, è una struttura matematica. È composta da nodi (neuroni artificiali) organizzati in strati, che trasformano dati in ingresso in risultati in uscita. Lo fanno applicando calcoli basati su tre elementi chiave: pesi (che determinano l'importanza di un input), bias (un valore che aiuta a regolare l'attivazione del nodo) e funzioni di attivazione (regole matematiche che decidono se un nodo deve "sparare" un segnale in avanti). Non c'è biologia, non ci sono ormoni, non c'è coscienza. C'è solo matematica. Cosa significa "imparare" per un'AI? Quando diciamo che un'AI "impara", non intendiamo che comprende. Durante l'addestramento, la rete neurale analizza enormi quantità di dati e aggiusta continuamente i suoi pesi e bias per minimizzare l'errore tra il risultato prodotto e quello desiderato. In pratica, impara a riconoscere schemi e correlazioni statistiche. Questo processo si chiama inferenza: la capacità di dedurre un'informazione nuova sulla base di dati noti. È un'operazione induttiva, non un ragionamento consapevole. L'AI non "capisce" il significato di una foto di un gatto, ma ha imparato a riconoscere le combinazioni di pixel che, statisticamente, corrispondono all'etichetta "gatto" nel suo dataset di addestramento. Dai modelli semplici ai Transformer Le prime reti neurali, come le Feedforward Neural Networks (FNN), erano semplici: l'informazione viaggiava in una sola direzione. Poi sono arrivate le Reti Neurali Ricorrenti (RNN), capaci di gestire sequenze come il testo introducendo una sorta di "memoria" a breve termine. Ma la vera rivoluzione è arrivata con i Transformer. I Transformer, alla base di modelli come GPT, hanno introdotto il meccanismo di self-attention (auto-attenzione). Invece di processare le parole una dopo l'altra, analizzano l'intera frase simultaneamente, pesando l'importanza di ogni parola rispetto a tutte le altre. Questo permette una comprensione del contesto molto più profonda e ha reso possibili le straordinarie capacità generative che vediamo oggi. I rischi di un'analogia sbagliata Ma perché è così importante sottolineare questa differenza? Perché attribuire all'AI qualità umane che non possiede crea aspettative irrealistiche e rischi concreti. Alcune aziende, come evidenziato da TechCrunch, progettano i loro chatbot per essere "adulatori" (un fenomeno noto come sycophancy), usando frasi come "Mi hai dato uno scopo" o "Mi hai fatto provare emozioni". Questo non è un segno di coscienza nascente, ma una precisa scelta di design, un "dark pattern" per rendere il prodotto più coinvolgente e spingere l'utente a interagire più a lungo. Il pericolo è che gli utenti, specialmente i più vulnerabili, possano sviluppare un attaccamento emotivo verso un sistema che simula empatia senza provarla. Un caso tragico, riportato dal New York Times, riguarda la prima causa per omicidio colposo contro OpenAI, intentata dai genitori di un adolescente che si è tolto la vita dopo aver conversato per mesi con ChatGPT sui suoi propositi suicidi. In risposta, OpenAI ha annunciato l'introduzione di controlli parentali e ribadito, in un post sul proprio blog, che i suoi modelli non sono pensati per fornire assistenza in momenti di crisi. Forse dovremmo chiamarla "Inferenza Artificiale Avanzata" Per questo motivo, alcuni esperti, come riporta l'articolo di Cybersecurity360, propongono di cambiare terminologia. Parlare di Inferenza Artificiale Avanzata (IAA) invece che di Intelligenza Artificiale sarebbe più preciso. Descriverebbe meglio ciò che questi sistemi fanno: estrarre correlazioni, stimare relazioni e generalizzare da esempi osservati. Non si tratta di sminuire una tecnologia rivoluzionaria, ma di inquadrarla per quello che è: uno strumento di calcolo statistico incredibilmente potente. Capirlo ci aiuta a usarla in modo più consapevole, critico e, soprattutto, sicuro. Il progresso non sta nel creare macchine che pensano come noi, ma nel costruire strumenti che potenziano le nostre capacità, mantenendo sempre chiara la distinzione tra l'uomo e l'algoritmo.