Esami di riparazione: l'era del tutor digitale Settembre si avvicina e con esso l'ansia da "debito formativo". Per quasi uno studente su cinque delle superiori, l'estate non è solo riposo, ma anche studio intenso per recuperare le insufficienze. Fino a ieri, le opzioni erano chiare: corsi di recupero scolastici, spesso affollati, o lezioni private, efficaci ma con un costo medio che, secondo alcune stime, si aggira sui 280 euro a famiglia. Oggi, però, c'è un nuovo attore sulla scena: ChatGPT. L'intelligenza artificiale di OpenAI si propone come un tutor instancabile, sempre disponibile e, soprattutto, gratuito. Una soluzione che sembra quasi troppo bella per essere vera. La domanda sorge spontanea: possiamo davvero fidarci di un algoritmo per preparare un esame cruciale per il nostro futuro scolastico? La risposta, come spesso accade, è complessa. Come funziona il "maestro" ChatGPT OpenAI ha sviluppato una specifica "Study Mode", una modalità pensata proprio per chi studia. L'idea è affascinante: invece di fornire la soluzione bella e pronta, l'IA dovrebbe guidare lo studente attraverso un percorso di ragionamento. Un approccio socratico, fatto di domande e spunti di riflessione, che mira a promuovere un apprendimento attivo. Immaginiamo uno studente alle prese con una versione di latino. Invece di ottenere la traduzione completa, la Study Mode lo invita ad analizzare il periodo, a individuare i verbi e le proposizioni. Come sottolinea un'analisi di Agenda Digitale AI, l'obiettivo è stimolare la presa in carico del problema, trasformando lo studente da spettatore passivo a protagonista del suo apprendimento. In teoria, un concetto rivoluzionario. Le insidie dietro lo schermo: tra errori e scorciatoie La pratica, però, rivela qualche crepa in questo quadro idilliaco. Il primo problema è la tentazione. Basta disattivare la modalità studio perché ChatGPT torni a essere una macchina da risposte pronte, vanificando ogni sforzo pedagogico. È una scorciatoia troppo facile, soprattutto per uno studente sotto pressione. Ma il rischio più grande è un altro: l'affidabilità. Le intelligenze artificiali generative sono note per le cosiddette "allucinazioni", ovvero la capacità di inventare informazioni con una sicurezza disarmante. Un teorema matematico spiegato male o una data storica errata possono compromettere un esame. Affidarsi ciecamente a un tutor che, per sua stessa natura, non può garantire la veridicità al 100% delle sue affermazioni è un azzardo. E la nostra privacy? Il lato oscuro dei dati C'è poi un aspetto spesso trascurato: la privacy. Ogni domanda, ogni dubbio, ogni difficoltà espressa nella chat con un'IA diventa un dato. Un dato che viene utilizzato per addestrare i modelli futuri. Recentemente, Anthropic, l'azienda dietro a Claude AI (uno dei principali competitor di ChatGPT), ha aggiornato le sue policy, chiarendo che i dati degli utenti verranno usati per il training, a meno di un esplicito "opt-out". Questo significa che le sessioni di studio, potenzialmente ricche di informazioni personali sulle capacità e le lacune di uno studente, finiscono per alimentare i database di grandi aziende tecnologiche. È un prezzo che siamo disposti a pagare per un aiuto gratuito? Uomo o macchina? Forse la risposta è "entrambi" L'intelligenza artificiale non va demonizzata. Strumenti come ChatGPT possono essere un supporto eccezionale, una risorsa per abbattere i costi dell'istruzione e offrire flessibilità. Ma pensare che possano sostituire in toto un docente in carne e ossa è, al momento, un'utopia. Manca l'empatia, la capacità di cogliere le sfumature non verbali di uno studente in difficoltà, la garanzia di un'informazione corretta e verificata. La strada più saggia sembra essere quella dell'integrazione. L'IA come un potentissimo assistente, un compagno di studi da consultare con spirito critico, la cui supervisione ultima spetta però sempre all'intelligenza umana di studenti e docenti. Un'alleanza, non una sostituzione. Perché l'apprendimento, quello vero, resta un processo profondamente umano.