Il cielo non è più quello di una volta. E non è una frase da nostalgici. Guardare le stelle sta diventando un mestiere sempre più complicato. Non per colpa di nuove galassie misteriose o fenomeni cosmici inspiegabili, ma a causa di un problema molto più vicino a casa: i satelliti. Migliaia di piccoli punti luminosi artificiali che sfrecciano sopra le nostre teste, lasciando cicatrici luminose sulle preziose immagini catturate dai telescopi più potenti del mondo. Un problema così serio da aver creato, quasi dal nulla, una nuova professione: l'astronomo di strisce satellitari. Pensate al Vera Rubin Observatory, un gioiello da 800 milioni di dollari in Cile. La sua missione decennale è creare il filmato più dettagliato mai realizzato dell'universo. Peccato che, secondo le stime, fino al 40% delle sue immagini rischierà di essere rovinato proprio da queste scie luminose. Un "fotobombing" cosmico che non fa ridere nessuno. Una carriera nata per caso Meredith Rawls non aveva pianificato di diventare una delle massime esperte mondiali in questo campo. Come racconta in un recente articolo del MIT Technology Review, quando è entrata nel progetto Rubin nel 2016, il suo compito era un altro. Ma nel 2019, tutto è cambiato. SpaceX ha iniziato a lanciare la sua costellazione Starlink e la comunità astronomica ha lanciato l'allarme. Quei satelliti, orbitando a quote relativamente basse, riflettevano troppa luce solare, apparendo milioni di volte più luminosi delle deboli galassie che i telescopi cercano di studiare. Rawls e alcuni colleghi sono stati i primi a studiare scientificamente il fenomeno. Il loro verdetto? Le scie non erano accecanti, ma abbastanza luminose da compromettere seriamente le osservazioni scientifiche. Potevano persino ingannare gli astronomi, facendo passare un satellite per un fenomeno astronomico reale, come l'esplosione di una stella. Nasce una nuova disciplina Da quel primo studio è nata una vera e propria sottodisciplina dell'astrofisica. L'obiettivo non è solo "cancellare" le strisce dalle foto come si farebbe con Photoshop. Il lavoro è molto più complesso e, in gran parte, basato su algoritmi e intelligenza artificiale. Si tratta di sviluppare software in grado di confrontare più immagini della stessa porzione di cielo, identificare le anomalie e distinguere un satellite da un asteroide o da un altro evento naturale. "Stiamo alterando radicalmente il cielo notturno, lanciando sempre più oggetti a un ritmo insostenibile", afferma Rawls, che oggi lavora anche come ricercatrice presso l'Università di Washington. Il suo team progetta algoritmi che sono, a tutti gli effetti, degli specialisti digitali nella pulizia del cosmo. Una sfida in continua crescita I numeri parlano chiaro. Quindici anni fa, in orbita c'erano circa un migliaio di satelliti attivi. Oggi, secondo l'ESA, sono più di 12.000. Di questi, circa 8.000 appartengono a Starlink, ma la concorrenza non sta a guardare. Progetti come AST SpaceMobile prevedono costellazioni di antenne orbitanti giganti, grandi oltre 60 metri quadrati, per portare il 5G direttamente sui nostri smartphone. I primi esemplari sono già lassù e sono così luminosi che il telescopio Rubin deve letteralmente modificare il suo programma di osservazione per evitarli. L'astronomo di strisce satellitari è quindi un detective digitale, un esperto di software e un profondo conoscitore del cielo. Una figura ibrida che lavora all'intersezione tra astronomia classica e data science. Un lavoro che dieci anni fa non esisteva e che oggi è diventato fondamentale per il futuro della nostra esplorazione dell'universo. Nonostante la sfida sia enorme, Rawls rimane ottimista. "Finora, quello che abbiamo visto con le prime immagini è che si tratta di un fastidio, ma non di qualcosa che mette fine alla scienza". La speranza è che la tecnologia, la stessa che ha creato il problema, possa anche fornire la soluzione. E nel frattempo, una nuova generazione di astronomi impara a navigare in un cielo sempre più affollato, assicurandosi che le vere stelle non vengano oscurate dal nostro traffico orbitale.